Cataloghi  / Catalogues

 


  

La conquista del mio corpo è il mio traguardo

Catalogo a cura di Luigi Curcio e Giuseppina Adinolfi
Prinp Editore, 2019

Sono tempi di passaggio: tempi in cui il nuovo non è ancora nato e il e il vecchio fatica a morire. Sono tempi diffcili, in cui la dimensione essenziale delle cose sembra smarrirsi nel rumore di una comunicazione ridondante e spesso inutile; tempi in cui la dimensione materiale del mondo e della realtà si appiattisce sulle logiche del consumo e del gretto materialismo, in cui la ricerca del vero, del bello e dell’essenza sembra essere passata di moda. In questi tempi si incontrano però alcune persone, uomini e donne,antiquate o anteriori, che sembrano abitare un passato remoto o un futuro anteriore rispetto alla nostra contemporaneità: dimensioni temporali in cui interessi, azioni, pratiche e ricerche ruotavano e forse ruoteranno di nuovo attorno a temi di natura universale e antropologica. [...] - Scarica il catalogo qui -

Critica di: Roberto Mastroianni

  

  

La conquista del mio corpo è il mio traguardo

InGenio Arte Contemporanea
Corso San Maurizio 14/e Torino
27 febbraio - 18 marzo 2015

 

“La conquista del mio corpo è il mio traguardo” è una personale retrospettiva di Luigi Curcio che ripercorre la produzione trentennale di un artista che, in solitudine e al di fuori del sistema “regolare” dell’are, ha fatto delle proprie pratiche e della ricerca sui materiali un percorso di ricerca spirituale e umana in dialogo con le dottrine di G.I. Gurdjieff e della sua scuola. Luigi Curcio è un artista che ha vissuto gli ultimi venti anni del suo fare artistico lontano dai riflettori, nascosto, rifiutando il mondo “regolare” dell’arte e utilizzando la pratica artistica come mezzo di introspezione e ricerca sui temi dell’esistenza e del posto dell’uomo nel mondo. Dopo un inizio da giovane artista attento alla ricerca sui materiali, alla poetica della leggerezza e alla grammatica “post-poverista”, un esempio della quale e rappresentato dall’opera-installazione del 1983 in mostra, “L’onda” (2,30 m x 3,00 m, carta velina e pigmenti, 1983), la vita con le sue durezze e i suoi affanni fisici gli ha imposto di ri-organizzare la sua ricerca attorno a un evento fisicamente e intimamente catastrofico e al nucleo delle teorie post-gurdijeffiane, che hanno incrociato la sua esistenza presentandosi come bussola di senso e significazione, dando nuova forma a una ricerca umana che si è fatta ricerca artistica. Inizia, quindi, alla fine degli anni ottanta del secolo scorso una sperimentazione sui materiali che unendo astrattismo e figurazione ingenua indaga il ferro e la carta, il bitume e il calcestruzzo, i colori e le forme, in vista di una messa in forma di elementi simbolici cari a una ricerca esistenziale e spirituale che fa delle suggestioni del mistico armeno (G.I. Gurdjieff) elementi di riflessione utili a trovare una collocazione alle tensioni che attraversano l’animo dell’uomo e il suo in particolare in questo scorcio temporale a cavallo tra i due secoli. Il corpo e lo spirito dell’uomo, o di qualsiasi cosa che allo spirito assomigli, dettano quindi l’agenda e le tappe di un percorso che trova emblematica rappresentazione nel ciclo “l’Ottava” (8 elementi di 108x78 cm, acrilico, metallo e cardboard), in cui l’evoluzione spirituale dell’uomo viene portata a figurazione dinamica e consequenziale, giocando sull’alternanza oppositiva dei materiali, della figurazione, del bianco e del nero e in questo modo dà forma alle costrizioni materiali e simboliche che rinchiudono il corpo e la mente dell’umano in una vita inautentica. La pratica artistica diventa quindi strumento di ricerca e i manufatti oggetti di meditazione per chi li produce e per chi li osserva, nel tentativo di meditare su quelle cose ultime e fondamentali di cui l’uomo si deve riappropriare: in primis il “proprio corpo” e la propria “presenza” nel mondo. Siamo dunque alla presenza di un artista che sceglie l’irregolarità dei temi e delle pratiche e in qualche modo si presenta inattuale nei presupposti del suo lavoro e negli obiettivi che si pone, come nei lavori su carta graffiata in cui il tema della montagna, della luce e delle energie oppositive che danno forma all’universo conosciuto e sconosciuto. La sperimentazione sulla leggerezza del segno e dei materiali si alterna, pertanto, a quella sulla pesantezza e sulla forza della creazione artistica all’insegna di un’idea di “fare”, che nel “fare” l’opera “fa” e “ri-fa” l’artefice in una prospettiva estetica e sapienziale. Nella sua inattualità Curcio si presenta come un artista che rivendica un ruolo spirituale e conoscitivo per l’arte e che presenta se stesso nelle proprie opere dopo anni di silenzio, rivendicando al contempo il fare come estetica ed espressione del sé, al fine di riappropriarsi di una dimensione specificamente umana dell’esistenza.

Critica di: Roberto Mastroianni

  

Lo stato dell’arte
A cura di Vittorio Sgarbi
Padiglione Italia 54. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, iniziativa speciale per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.
"La montagna si presenta come la metafora di un percorso spirituale che vede nella scalata una purificazione dei materiali e trasformazione del mondo e dell’uomo che è parallela alla purificazione della materia. Il passaggio dai materiali pesanti alle forme leggere e alla sottrazione di peso e colore è metafora della sottrazione di peso della materia che si trasforma in energia immateriale".

Critica di: Roberto Mastroianni

 

Arti visive - quindici giovani artisti
ottobre 1985 - giugno 1986
Unione culturake Franco Antonicelli
Palazzo Carignano Torino
"Perché pittura e scultura si stringono in un amplesso sempre più gravido di implicazioni estetiche e linguistiche ed ibride abdicazioni? E' un fatto che oggi l'artista sia attratto da una manualità indiscreta per tutto ciò che è <<plastico>>, mescolando così, senza freni di purezza inibitrice, pittura, scultura e, non ultima, la stessa fotografia. Di conseguenza, assistiamo a un effluvio di materia che scorre nel senso della stratificazione, della promisquità delle tecniche, dell'esasperazione tonale del colore, in una parola dell'espressionismo affabulatorio dell'immagine o, per sentieri meno battuti, di un descrittivismo eccedente. La bidimenzionalità monolinguistica, a maggior ragione in seguito all'impatto dei nuovi media, parrebbe bandita definitivamente dal territorio della pittura quale canone <<anacronistico>>. Il percorso di Luigi Curcio, che qui approda alla prima verifica espositiva, ha respirato questi climi e ne ha frequentato, per breve tempo, qualche aspetto. Ha però poi scelto, in luogo delle mode inquietanti, l'introversione del rifiuto, la rinuncia alla bagarre post-concettuale. Là prevaleva la tensione dialettica tra energia e forma; qui si confermava, nell'arco di quasi un decennio di lavoro, il lirismo mistico dell'avvio che ha rapidamente condotto l'artista lontano dagli esistenzialistici interrogativi informali verso una più serena comprensione del bello, toccata dalla simmetria decorativa dell'arte estremo-orientale.
Reintrodurre profondità e spazio nei lavori ha significato, per Curcio, inanzi tutto concedersi il tempo di riflettere, di meditare, di spingere il più lontano possibile da sé l'idea e il materiale. Frutto di una lunga elaborazione, l'opera costituisce una sintesi di caligrafia e di natura: l'occhio percorre la via dello Zen, è interno a tutte le visioni possibili, misteriosa coincidenza dei nostri sentimenti più raffinati con la superficie su cui l'artista interviene assemblando veline cartacee ("ricordi da tempo immemorabile dimenticati che tornano alla memoria ricchi di un senso nuovo") e spargendovi i suoi colori. L'immagine oscilla dunque tra i modi dell'ingrandimento del particolare biologico e quelli della <<miniatura>> paesaggistica (atolli oceanici o esotici parchi), che schiaccia la frontalità dell'opera in una incombente veduta <<aerea>>.
E' come se una parte della poetica di Klee fosse stata prepotentemente trapiantata nella Stanza del té: nell'intima grazia architettonica e decorativa della Dimora della Fantasia (nota anche come Dimora del Vuoto e della Asimmetria), i <<seguaci dello Zen cercano una comunicazione diretta con la natura interiore della realtà>> (1) e considerano i suoi accessori esteriori degli ostacoli alla comprensione della bellezza. Nella grande relazione delle cose, infatti, l'atomo ha la medesima ricchezza dell'universo.
E ciò che è astratto e asimmetrico contiene, in nuce, la vera perfezione, delicata e incompleta nella luce soffusa del tempo".
(1) O. Cakuzo, Il libro del té, tr. it., Milano, 1978, p. 45.
Critica di: Francesco Lodola

 

Catalogo : Giovani Artisti a Torino
Galleria di proposte
Commissione scientifica: Nino Aimone, Giorgio Avigdor, Vincenzo Gatti, Pino Mantovani, Luigi Nervo, Sergio Saroni
Atrio del Palazzo degli Antichi Chiostri, via Garibaldi, 25, Torino
11 novembre - 4 dicembre 1988
"Un'onda di mare o un'onda di sole.
Un'onda di luce bianca.
In questo bianco che ci viene incontro - osservando - come tanti raggi di Sole. E così l'ondeggiare dell'acqua. Assieme ci sussurrano il silenzio del germogliare.
Questa sintesi: nel colore bianco e nella sua poesia diviene calma luminosa. E ci fa trasognare uno spazio sereno. Come il poi lo sbocciare di un fiore, nel sole del meriggio, dove petali rosa-azzurro alzano il velo della solitudine. Così l'osservatore, forse si sente meno solo. I fiori, qui, rifioriscono nell'indaco della serena gioia. La poetica dell'umano pensare. Un raggio di luce bianca. Un'onda d'amore. Questa onda così riflette, nella stanza interiore di ognuno, quella sua calma luminosa.
Aprendoci la porta del proposito. Del proprio sole. Nell'ondeggiare dell'ascolto e del vedere. Ogni cosa prende forma di giusto segno. Di un percorso d'amicizia".
Articolo di: Augusto Squarciafichi

  

   

Giornali / Newspapers

 


  

Luigi Curcio, la filosofia dell’essere attraverso la materia

di Marta Lock
L'Opinionista - giornale online
30 novembre 2018

 

L'astratto Informale molto spesso è ermetico, incomprensibile e più istintivo che non meditativo, con l’artista protagonista oggi, invece, diventa potente mezzo per interrogarsi sui temi della vita.

Luigi Curcio, artista originario di Crotone ma naturalizzato torinese, approccia l’arte in maniera conoscitiva, sviluppando una ricerca sul mezzo espressivo che va immediatamente oltre il concetto ma si fonde con esso; nello stesso tempo ciò che si manifesta sulle superfici da lui scelte si trasforma in metodo per scoprire un sé che diversamente resterebbe imprigionato nella razionalità di una mente intimista, solitaria e introversa. Dunque quella ricerca quasi scientifica dei materiali che utilizza, nell’atto del fare diviene maieutica per dare voce alle riflessioni interiori, a un silenzio che sente l’urgenza di rompersi e dare vita a una scia di pensieri, di ricordi e di concetti che non pretendono di essere universali bensì semplicemente il suo personale punto di vista. E personale è l’arte di Lugi Curcio, parte raccontando di sé, delle cose che ama, delle montagne intorno alla città in cui vive, montagne che un po’ lo rappresentano in quel senso di solitudine nel quale si identifica, come se volesse suggerire che la sua personalità complessa va scoperta, gradino dopo gradino, ascoltata nel silenzio della salita e infine svela, una volta raggiunta la vetta, l’interiorità più nascosta, il suo vero essere. Tutta la serie di opere dedicate appunto alla montagna è sperimentata con materiali diversi, coriacei e difficili da lavorare per trasformarli in espressione creativa: legno, asfalto, gesso, catrame, acrilico, vetro, bitume. Tutta la serie di opere dedicate appunto alla montagna è sperimentata con materiali diversi, coriacei e difficili da lavorare per trasformarli in espressione creativa: legno, asfalto, gesso, catrame, acrilico, vetro, bitume. Quando invece racconta di elementi della natura sembra ammorbidirsi anche nelle scelte dei materiali, quindi, come in Fiat Lux, passa al legno, alla carta velina, come se la distanza da sé alleggerisca per un po’ la riflessione interiore e la meditazione si prenda un attimo di pausa, perché in fondo l’essere umano è più complesso della natura, necessita di una maggiore comprensione rispetto a ciò che semplicemente è, lì da secoli, immutabile e oggettivamente inconfutabile nella sua bellezza. E ancora in Frammenti di un insegnamento conosciuto, la Bibbia con le pagine sfilacciate e conservata in una campana di vetro assume il significato della necessità di proteggere tutto ciò che fa parte del passato, tutto ciò che costituisce la memoria di interi popoli, la sua storia, da un mondo che corre veloce verso un futuro che non conosce ma che nell’andare lo induce a lasciare indietro pezzi fondamentali dei noi che eravamo tempo fa. Tuttavia può emergere un altro punto di vista che Curcio vuole suggerire, cioè la tendenza della frangia più estrema, o dei secoli bui, delle religioni a tenere il popolo sotto controllo, modificando l’interpretazione del testo dei libri sacri a seconda del momento storico; ecco dunque che la campana non è più protezione bensì scudo contro la libertà di pensiero. L’Evoluzione dell’uomo è forse l’opera più esterna a se stesso, quella in cui esplora l’essere umano nella sua forma più esteriore, quella più oggettivamente evolutiva, che poi però racconta osservandone anche la modifica morale, quella che attraverso i secoli lo tramuta da istinto inconsapevole, a stretto contatto con la natura e con l’esigenza di vivere in branco, a ignara coscienza delle proprie capacità intellettive ed evolutive, attraversando il secolo buio in cui le libertà personali erano ostacolate dai poteri forti che avevano bisogno di tenere il popolo nella non conoscenza, nella mancanza di cultura per imprigionare la sua individualità; per arrivare infine ai tempi attuali dove, pur avendo tutti i mezzi per essere davvero se stesso e tendere verso il futuro che può scegliere, l’uomo si ritrova nel buio della sua solitudine, isolato a causa del progresso e della tecnologia che lui stesso ha costruito, che ha creato. Parte da sé dunque Luigi Curcio, nel suo lavoro di ricerca dell’essere, ma il senso, la manifestazione interiore a cui tende si estende e abbraccia le sensazioni, i disagi, le inquietudini e le incertezze del genere umano, ecco perché i suoi lavori arrivano in modo chiaro e inequivocabile, a toccare le corde emotive dell’osservatore che sente, percepisce, vibra con la stessa intensità della mano creatrice, avverte dentro di sé il ruvido dei materiali coriacei e li ritrova nelle pieghe della propria anima, del proprio percorso. Un artista che fa della ricerca filosofica il messaggio finale di una ricerca razionale e quasi scientifica sui potenti e materici mezzi espressivi che non possono prescindere dal suo essere creativo.

 

 

  

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